Riccardo Magrini, dal Giro d’Italia alla Tv passando per il Tour

Riccardo Magrini, originario di Montecatini Terme ed ex ciclista e dirigente sportivo, ora commentatore televisivo italiano. Professionista dal 1977 al 1986, atleta estroso e discontinuo, nelle sue dieci stagioni da professionista (con quattro edizioni del Giro d’Italia concluse), non sempre ha saputo disciplinarsi a dovere. Non gli sono mancate le vittorie e nel 1983 ha messo a segno un’accoppiata importante vincendo una tappa al Giro e una al Tour, quando era dal 1979 che un italiano non vinceva una tappa del tour francese. Una carriera quindi lunga e apprezzabile anche se in molti, sbagliando, lo ricordano soprattutto per il suo carattere estroverso e le sue barzellette. A fine 1986 cessò la carriera come ciclista e passò a ruoli direttivi in ammiraglia e negli anni successivi fu direttore sportivo, prima di squadre dilettantistiche, poi, nel 2002, alla Mercatone Uno di Marco Pantani e nel 2004 della Domina Vacanze di Mario Cipollini. Dal 2005 è commentatore televisivo e opinionista per Eurosport.

In occasione di una cena alla palestra Ego a Sant’Alessio, l’ex ciclista ha ripercorso con la Gazzetta di Lucca, qualche aneddoto passato.

Dopo tutti questi anni, cosa le manca del ciclismo?

Direi niente. Ho fatto tutto quello che dovevo fare e con il tempo non mi sono mai estraniato da questo sport, anzi, sono sempre rimasto nell’ambiente. Prima come direttore sportivo e ora come commentatore, ma non ho mai lasciato veramente il ciclismo. Sono già dieci anni che lavoro per Eurosport e faccio il commentatore e questo mi da modo di poter rimanere a stretto contatto con questo bellissimo sport.

La vittoria al Tour de France nel 1983, dopo quattro anni di assenteismo italiano, che ricordi le lascia?

Sicuramente la mia vittoria più bella, perché questa è la competizione più importante di tutte. Siamo partiti per il tour con buone aspettative ma non avrei mai pensato di salire sul podio io in prima persona. Forse è stata anche un po’ di fortuna…

Mi scusi ma a quei livelli la fortuna c’entra poco o nulla…

Effettivamente quella vittoria la cercai. Il tracciato era congeniale alle mie caratteristiche e decisi di provarci. Smisi di fare il mio solito compito di gregariato e mi staccai dalla squadra. Salire sul podio con corridori che avevano vestito la maglia gialla è stato bellissimo.

Come lo vede il ciclismo oggi?

Ci sono questi due corridori, Fabio Aru e Vincenzo Nibali che stanno portando entusiasmo e avvicinano molte persone a questo sport. L’unica pecca è che corrono nella stessa squadra e questo penalizza un po’ sia loro che lo spettacolo. Se corressero in due scuderie diverse, sicuramente il confronto sarebbe bellissimo, perché sono due grandi campioni che stanno gareggiando all’apice della loro forma fisica.

Quando era corridore, molti la descrivevano come un ciclista dal carattere estroverso e famoso per le sue imitazioni e barzellette. E’ vero?

Si, diciamo che io ero un personaggio un po’ sopra le righe e in un mondo del ciclismo che, all’ora, era molto rigido, diciamo che spiccavo in particolar modo. Io strimpellavo qualcosa con la chitarra, ho sempre voluto imparare a suonarla ma non ci sono mai riuscito del tutto. Però quando andavamo in ritiro con la squadra ero solito cantare qualcosa o improvvisare qualche gag per fare due risate.

Quali gag era solito interpretare?

Raccontavo barzellette, cosa che ora ho smesso di fare, ma anche imitazioni di Jerry Lewis e altre. Mi ricordo che per un periodo, il grande comico Gianfranco D’Angelo, grande comico di Drive In, che nel 78’ e nel 79’ faceva anche il commentatore televisivo nel dopo tappa. Non mi ricordo il perché e in quale circostanza ma ci trovammo ad improvvisare delle gag e da qui mi è rimasto questo appellativo. Il grande commentatore Adriano De Zan, ricordava spesso al pubblico questa mia propensione per il comico.

Secondo lei la fama di, diciamo così, ciclista-cabarettista, con un caratterino sopra le righe, le è servito per la sua carriera? 

Come ho detto prima, il mondo del ciclismo prima era molto rigido, adesso pagherebbero per avere personaggi così, che diano una scossa e facciano parlare. Diciamo che durante la carriera da corridore questo non mi ha intralciato più di tanto, mentre quando ho dovuto rivestire i panni di direttore sportivo, mi ha molto penalizzato.

Ha faticato a scrollarsi di dosso questa etichetta?

Purtroppo si. In un ambiente come questo non stanno a vedere molto cosa hai fatto e da dove vieni, conta molto l’immagine e la fama che hai. Una figura professionale come quella del direttore sportivo deve essere seria, mentre io non ci vedevo nulla di male a portare la chitarra ai ritiri e suonare qualcosa con i miei ragazzi. Con il lavoro duro alla fine sono stato apprezzato per il mio impegno e questa etichetta ormai me la sono tolta.

Quindi ha smesso di fare imitazioni?

Assolutamente no, con gli amici mi diverto sempre molto e ora sono un commentatore sportivo da ormai dieci anni.

 

da: La Gazzetta di Lucca

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